Cosa mi ha insegnato la Tourette: l’idea di successo
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Cosa mi ha insegnato la Tourette: l’idea di successo

 

Ma quante cose mi ha insegnato questa Sindrome di Tourette? Un’infinità. E oggi voglio parlarti di ciò che mi ha insegnato a proposito dell’idea di successo.

Ma la prenderò larga.

Ero piccolino, avevo solo 10 anni, circa. Uno scricciolo sottopeso, con un caschetto di capelli nero. Suonavo il clarinetto da 3 anni e studiavo solfeggio da 4. Fino ad allora avevo solo fatto delle prove, in teatro, e avevo suonato un paio di volte nell’orchestra locale, con un po’ di pubblico. Basta.

Quella sera, però, stava per arrivare il momento più importante. Quello dell’esordio. Il battesimo del fuoco. Sarei salito sul palco, in un teatro strapieno, con almeno 250 persone a guardarmi, per suonare la colonna sonora di “C’era una volta il West”. Da solo.

Te lo immagini? Un bambino di 10 anni lì, da solo?

Avrei dovuto avere paura, invece mi gasai. Ero felice. Nell’esecuzione feci un paio di “stecche”, ma me ne fregai. Mi dispiacque, puntavo all’esecuzione perfetta, ma andò bene lo stesso. E lì, su quel palco, per la prima volta assaporai il gusto del successo.

E non perché 250 persone mi avrebbero applaudito e si sarebbero complimentate con me. No. Il successo stava nell’essere riuscito a ottenere quel risultato. Nell’essermi impegnato così tanto, nello studio della musica, da raggiungere quel risultato.

Ero l’unico bambino, quella sera, a fare un assolo. Il primo di quella scuola di musica. Il cuore continuò a battermi velocemente anche dopo la fine dello spettacolo. Non riuscivo a crederci: ce l’avevo fatta. Era il mio primo, vero successo.

Passarono gli anni e, in tutti i modi, cercai di replicare quel risultato: impegnarmi in ciò che amo fare, fino al punto di ottenere il successo.

Crescendo, infatti, la voglia di salire su un palco e vedere la gente commuoversi o ballare al ritmo della mia musica non si affievolì. Anzi. Così misi su un gruppo rock. Non per avere successo con le ragazze. Non per essere riconosciuto. Ma per far ballare e commuovere le persone.

Poi studiai arti marziali e vinsi prima la medaglia d’oro intercontinentale di kung fu, successivamente quella italiana. Ma il bello non fu portare a casa le medaglie o comparire sul giornale, bensì dire ancora una volta “ce l’ho fatta!”.

Non desideravo la fama, il riconoscimento sociale, la gloria, ma la soddisfazione. Quella che arriva dopo l’impegno. Che ti fa chiudere in bagno, davanti lo specchio, e ti fa sorridere nel guardare in faccia una persona realizzata. Quello che faccio tutt’ora, fortunatamente.

La soddisfazione d’aver reso felici e orgogliosi i miei genitori, d’aver fatto ballare ed emozionare chi ha ascoltato la mia musica. La soddisfazione che riempie il cuore di gioia e voglia di vivere. Voglia di andare avanti e fare altre cose buone.

Ma ancora il concetto non mi era ben chiaro. Ero giovane e avevo altre cose per la testa. Solo crescendo compresi il senso di tutto. La vera spinta che mi portava a cercare il successo. Quel successo così diverso da come lo immaginavano i miei amici.

Quel gusto, provato per la prima volta a 10 anni, in quel teatro, mi era rimasto in bocca. E avevo voglia di assaporarlo nuovamente.

Col passare degli anni, così, questo stesso gusto lo andai a cercare nella scrittura. Cambiò la forma artistica, ma non lo scopo finale: emozionare il pubblico, fare qualcosa di buono per gli altri. Avere successo. Il mio successo.

Ma fu solo dopo aver scoperto di avere la Tourette che capii cosa mi dava davvero così tanta gioia. Cosa si celasse dietro il mio successo ideale. Avevo 33 anni, circa, già abbastanza grande per ragionarci su.

Scoprii di avere la Tourette, infatti, solo grazie al Web. Nessuno psicologo o psichiatra incontrato sino a quel momento era stato in grado di diagnosticarla. Dicevano solo che si trattava di ansia e stress. Che tutto sarebbe passato presto.

Ma anche lì fu il mio impegno a regalarmi il successo.

Mi incaponii e, grazie al Web, arrivai ad autodiagnosticarmi la sindrome. Ma non era abbastanza. Dovevo trovare uno specialista che confermasse o smentisse il tutto. Ma uno specialista vero, uno che la Tourette la conosceva sul serio.

Fu in questo modo che conobbi il prof. Morciano e l’Associazione Sindrome di Tourette – Siamo In Tanti. Fu così che, dopo il primo incontro, uscii sorridendo dal suo studio.

Quelle prime 5 ore di discussione con il prof. Morciano mi cambiarono la vita. I filtri attraverso cui guardavo il mondo erano stati rimossi. Era come se fossi rinato.

E nel viaggio di ritorno, in treno, furono molte le cose a cui pensai. Furono moltissime le riflessioni verso cui mi spinsero quelle 5 ore di colloquio. La novità non era solo avere davvero la Tourette, ma il fatto che tutto ciò che avevo prodotto sino a quel momento aveva un senso.

Tutte le mie scelte, d’un tratto, si incastrarono in un unico puzzle.

E, in treno, durante quelle ore di viaggio, compresi anche perché la mia visione del successo era sempre stata così diversa. “Visione tourettica” potrei definirla oggi.

Tutti, intorno a me, negli anni si erano affannati nel cercare di avere quante più avventure amorose possibili, nell’ottenere un lavoro che li facesse vestire in giacca e cravatta, nel guadagnare abbastanza soldi da permettersi il possesso di status symbol (dal SUV agli occhiali firmati).

Io, invece, me ne fregavo. Cercavo le emozioni. Desideravo aiutare gli altri. Cercavo costantemente la crescita personale. Avevo voglia di studiare per il solo gusto di imparare.

“Visione tourettica” del mondo.

Visione che, col tempo, si è evoluta sempre più fino a portarmi verso un coinvolgimento attivo nell’aiutare chi, come me, ha la Sindrome di Tourette, nonché verso l’insegnamento delle tecniche di scrittura e autopromozione letteraria, con lo scopo di dare una mano a chi ha la mia stessa passione per la scrittura. E mi ha portato anche verso il mental coaching, il massimo aiuto possibile per chi ha bisogno di risolvere problemi di vita.

Quello che spero, oggi, è che anche altre persone, non solo tourettiche, arrivino a interpretare il successo nel modo in cui l’ho fatto io.

Ma non perché sia universalmente giusto. Solo perché, se il motore che muove tutto è il desiderio di crescita, di solidarietà e di emozioni sane, si è in grado di ritagliare, per sé  e per gli altri, una vita fatta di serenità, felicità e immense soddisfazioni.

Soddisfazioni che durano nel tempo e migliorano il mondo.

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